Il “Decreto dignità” è ai nastri di partenza, pronto per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Una riforma che segna il primo intervento del governo giallo – verde nel mondo del lavoro con l’intento, si legge nella bozza approvata settimana scorsa in Consiglio dei Ministri, di “introdurre misure per la tutela della dignità dei lavoratori, delle imprese e dei professionisti”. Il Decreto si concentra soprattutto sull’istituto del contratto a termine di cui se ne riduce la durata massima (24 mesi) e le proroghe (4). Non è finita. Tornano le causali. Il rapporto a tempo determinato oltre i 12 mesi dev’essere giustificato da:
- Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro o sostitutive;
- Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
Sempre la bozza precisa che le nuove norme troveranno applicazione per i contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto nonché ai rinnovi e alle proroghe dei rapporti in corso alla predetta data. Se quest’ultima previsione fosse confermata come comportarsi con tutti quei rapporti che hanno già superato il limite dei 24 mesi? Cesserebbero alla data di scadenza a meno che il datore non li trasformi a tempo indeterminato?
La sensazione è che la riforma già nella sua fase di gestazione stia alimentando altri dubbi in un istituto che deve ancora risolvere le incertezze generate dall’ultimo intervento normativo (Dlgs. 81/2015).
Per esempio. Come comportarsi nel caso di un normale tempo determinato qualora alla data di scadenza emerga l’esigenza di sostituire un dipendente in ferie? E’ necessario lasciar cessare il rapporto alla sua scadenza naturale per poi riattivarlo nel rispetto dello stacco temporale o è sufficiente una semplice proroga? Trattasi pur sempre di due tipologie distinte di rapporti a termine, l’uno caratterizzato per essere “a-causale” l’altro per ragioni sostitutive, cui sono legate una serie di deroghe alla disciplina generale. Si pensi all’esclusione dal limite numerico del 20% di tutti quei dipendenti assunti per ragioni sostitutive e all’esonero dal versamento del contributo NASPI dell’1,40% carico azienda.
Su questa e altre problematiche sarebbe stato auspicabile un chiarimento ministeriale o dello stesso Ispettorato del Lavoro, tale da dissipare le nubi prima di una nuova riforma dell’istituto. Il rischio è di creare ulteriore confusione nelle imprese e negli addetti ai lavori, alle prese con un contratto dai contorni sempre meno definiti.
di Paolo Ballanti