Esiste, in Italia, un conflitto generazionale per il lavoro? Esiste, in altre parole, una lotta tra giovani e senior per contendersi gli ultimi posti disponibili?
Il tasso di occupazione italiano negli ultimi due anni ha iniziato a crescere. Pur non essendo ancora tornato ai livelli pre-crisi, sta comunque mostrando segnali di ripresa. Quasi tutte le fasce d'età mostrano un tasso di occupazione che torna crescente. L'unica che non torna a crescere è quella degli over 55. Non torna perché prosegue: prosegue l'ascesa iniziata con gli anni della crisi. Durante la crisi gli over 55 hanno occupato i posti lasciati dai colleghi più anziani, portando avanti quello che in Italia è un andamento consolidato: l'invecchiamento della forza lavoro.
Eppure, non è certamente questa la situazione che si mostra all'esperienza comune. La percezione è che i "padri" e le "madri" di famiglia siano in estrema sofferenza, tra precarietà e disoccupazione.
Per questo fenomeno si possono scomodare due cause: la prima è di tipo demografico, la seconda di tipo mediatico.
Demograficamente parlando, gli over 55 non stanno trovando nuovo lavoro, sono invece i lavoratori under 54 che, salendo di età con gli anni, vanno ad ingrossare le fila degli occupati ultra-cinquantacinquenni. Questa situazione sposta il problema: i senior non stanno occupando, a scapito dei giovani, posti di lavoro lasciati vacanti, ma semplicemente si stanno limitando a conservare il posto di lavoro. L'invecchiamento della popolazione fa il resto: se gli occupati 15-24 anni passano dalle 1.456.000 unità del 2007 alle 928.000 del 2015, e contemporaneamente gli over55 passano da 2.385.000 a 3.689.000, non è tanto un motivo di creazione di lavoro per i senior, quanto il semplice fatto che i senior sono più numerosi dei giovani, di cui ne sono nati sempre meno col tempo. In più, c'è la questione-pensioni: la stretta di Fornero del 2012, che ha evitato all'Italia di pagare più pensionamenti di quanti se ne potesse permettere, se da un lato ha evitato un default delle casse statali, dall'altro ha impedito che un nutrito gruppo di lavoratori andasse a fare "largo ai giovani".
È questo un paese per vecchi? Niente lotta per il posto, forse, ma un dubbio rimane. Possibile che in 8 anni i giovani abbiano perso 528.000 posti di lavoro (-36,26%) senza alcuna relazione con i 1.304.000 (+54,68%) guadagnati dagli over55? A questo punto, entra in gioco la spiegazione mediatica.
Gli anni della crisi hanno fatto assistere a numerose cessazioni di lavoro. Per cessazione, però, non si intende sempre lo stesso atto: ci sono dimissioni volontarie dei lavoratori (magari per accedere a posizioni migliori), licenziamenti (motivati da condotte scorrette o da motivi economici), e semplici scadenze di contratto. È un dato di fatto, confermato da fonti statistiche, che i giovani siano stati più soggetti a contratti di lavoro a termine rispetto agli over 55, mentre questi ultimi hanno beneficiato, proprio in virtù di contratti a tempo indeterminato, di strumenti per la conservazione del posto di lavoro, soprattutto in contesti di ristrettezze economiche (vedi la Cassa Integrazione). Ciononostante, i licenziamenti per motivi economici non sono mancati.
Ma cosa succede quando un over 55 viene licenziato? I mezzi di informazione si occupano del caso. Si sprecano titoli: il padre di famiglia perde il posto di lavoro, i figli sono senza mezzi di sostegno, lo Stato ignora la tragedia, la politica rimane in silenzio. I sindacati scendono sul sentiero di guerra, si occupano fabbriche, si appendono bandiere ai cancelli, ci sono mobilitazioni, scioperi di solidarietà, tam-tam mediatici. E se invece un giovane non viene assunto dopo lo stage? Poverino, ma meno male che ci sono mamma e papà. E se non trova un altro lavoro, dopo aver terminato un contratto? Proverà con l'estero, lì, forse… I TG non ne parlano, non fa notizia. I sindacati alzano le spalle: rappresentano lavoratori (quindi già occupati) e pensionati (vedi SPI CGIL), mica chi non può pagare la quota. Ma se, invece, il giovane si dà da fare e un lavoro lo inventa? Questo sì che fa notizia! Millenial come nuovi imprenditori, che si siano una mossa allora, a mettere su startup e finirla con questa elemosina di lavoro.
Ecco come si può spiegare, in parte, l'ultima crisi. È stata una catastrofe occupazionale consumata in silenzio, sofferta da chi non ha mai potuto rivendicare ciò che, secondo una mentalità che invecchia insieme alla popolazione che la esprime, rende la persona un vero lavoratore: un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e una famiglia sulle spalle.
Simone Caroli